Kaja è stata reclusa alcuni anni nel carcere femminile della Giudecca di Venezia. L’Archivio custodisce la sua corrispondenza con Renato Curcio, ricca di piccoli disegni, doni postali, con il simbolo ricorrente e vitale della “donna albero”.
In carcere Kaja si dedica a raccogliere le testimonianze di altre recluse sui simboli che si erano fatte tatuare sulla pelle. I più comuni di questi simboli ricorrono anche nei suoi disegni. L’occhio che piange, per esempio, oppure le sbarre, riferimenti espliciti all’afflizione della reclusione.
In uno dei suoi disegni il carcere viene rappresentato come un congegno a scatole cinesi: un carcere dentro un carcere dentro un carcere, sempre più stringente e sempre uguale.



KAJA

Kaja spent years in the female-only prison “La Giudecca” in Venice. Our collection harbours her correspondence with Renato Curcio, full of little paintings and drawings with the recurring symbol of the “Tree-woman”.
During her stay in prison, Kaja collected the background stories of some of her companions about the tattoos they wore on their skin. The most common of these symbols recur in her drawings: the crying eye, for example, or the cell bars, explicit references to the sorrow of reclusion. In one of her works, prison is presented as if it was in Chinese boxes: one prison inside one prison inside one prison... More and more oppressive, but always the same.


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